Pan e Selene

Folle è l’uomo che parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto.
W. Shakespeare
Pan e Selene
Quella che rivela pienamente l’intenzione di Pan è Selene, dea della Luna.
(La sua intera configurazione e suo figlio Museo e i legami di quest’ultimo con Orfeo e con i misteri eleusini sono richiamati dalla storia di Pan e Selene, ma occuparsene richiederebbe una monografia a parte su Selene).
Di Selene dobbiamo sottolineare queste caratteristiche: la sua insuperabile bellezza; il suo occhio che vedeva tutte le cose che succedono di sotto; il suo governo della mestruazione, l’ordinato ritmo dell’istinto femminile; il suo dono della rugiada, la rinfrescante umidità; il suo rapporto con l’epilessia e la guarigione; il velo che la manteneva parzialmente celata, indiretta; la torcia che essa portava e il luminoso diadema di cui era adorna; l’oscura caverna da cui sorgeva e nella quale si ritirava.
Per la sua conquista della luna, si racconta che Pan dovette dissimulare le sue parti nere e irsute sotto un bianco vello.
Questo è il linguaggio dell’alchimia, corrispondente al movimento verso l’albedo della coscienza lunare. Ciò che è resistente alla luce, indistinto e coatto, natura sofferente nell’ignoranza, diviene bianco e riflessivo, capace di vedere che cosa accade nella notte.
Il bianco vello non arresta Pan dal procedere nella sua conquista. L’imbiancamento non è una askesis del capro. Non è che ora Pan sa e perciò non agisce, ma l’azione, diventando bianca, si fa riflessiva e così la connessione con Selene (selas = luce come quella di una torcia che brilla nella notte) è stata resa possibile.
Il simile cura il simile: Pan, divenendo come Semele, è già connesso con lei.
J. Hillman, Saggio su Pan



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