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Bianca ĆØ la neve che danza nel cielo prima di stendersi a terra. Ogni fiocco ĆØ unico e perlato nei sui disegni geometrici, unione tra terra e cielo.

Pensare al bianco equivale a pensare in bianco, ossia in modo riflessivo, ampliando la propria visione cosƬ da poter vedere cosa accade nella notte. Nel linguaggio alchemico l’opera di sbiancamento ĆØ il movimento verso l’albedo.
Ma nel viaggio verso l’albedo, due sono gli stati del bianco che incontreremo.
“Esistono almeno due stati del bianco, due condizioni che sembrano simili/ ma sono del tutto diverse (…)
C’ ĆØ un bianco originale, la Luna primaria o latte vergine, vergine pura, fumo, nuvola, l’agnello, sputo della luna, urina del vitello bianco, estate, umori bianchi, liscivia, sciroppo: tutti nomi per indicare materia prima, per indicare quelle iniziali e ripetitive pene d’anima: le nostalgie sciroppose, i
baci
troppo impazienti, le cotte adolescenziali, i ri-morsi della lascivia introspettiva (…) Questo bianco primario precede il nero. Compare nei modi di dire, nel comportamento e nei sogni, quelli notturni e quelli fabbricati da pubblicitari: sorrisi da dentifricio, candeggianti, pantaloni di flanella bianca e politici Mastro-Lindo, piste di neve, coscienza bianco-aspirina (…). Il bianco primario ĆØ immacolato (senza macchia o peccato), innocente (senza colpa, innocuo), ignaro (senza conoscenza, noncurante), pulito, incontaminato.
Questo stato non ĆØ terra alba, perchĆ© non c’ĆØ terra da imbiancare. L’Opus inizia su questi stati di bianco originario, e li annerisce ustionando, graffiando, maledicendo, gustando l’innocenza dell’anima e corrompendola e deprimendola nella nigredo, che riconosciamo dal suo fetore, dalla sua cieca impulsivitĆ  e dalla disperazione della mente che si dibatte nella materia, perduta nei suoi materiali intropsettivi, nelle cause materialistiche con cui spiega gli errori.
Il bianco nostro, il secondo bianco o š¯—®š¯—¹š¯—Æš¯—²š¯—±š¯—¼ , emerge da quel nero, una terra bianca che si forma da terra bruciacchiata come l’argento nasce dall’incendio boschivo. Si ha un recupero dell’innocenza, ma non nella sua forma prima. Qui l’innocenza non ĆØ pura e semplice inesperienza, bensƬ piuttosto una condizione in cui il soggetto non si identifica nell’esperienza. La verginitĆ  ritorna come impersonalitĆ . O per meglio dire il ricordo ritorna come immagine: “ la sera che si passa con l’album delle fotografie” e tu non sei la persona nella foto e forse nemmeno la persona che sfoglia l’album. Esperienza e soggetto dell’esperienza non contano piĆ¹ mentre “quelle immagini che tuttavia nuove/immagini generano” ci liberano dalla nigredo dell’identitĆ  personale, trasferendoci negli specchi delle riflessione impersonali.” (J. Hillman, Psicologia Alchemica, p.166-167)
Mi piace pensare, che il nostro fiocco di neve, dall’alto della sua purezza, nel suo cadere a terra si sporchi tra un calpestio e l’altro, soffrendo anche un po' sotto ogni passo pesante, ma ĆØ sempre lui, il nostro fiocco, che si trasformerĆ  tornando in cielo, guardando il mondo dall’alto, nella suo nuovo bianco.
Un Natale strano questo, siamo un po' fiocchi di neve. Ma non dimentichiamo che nella nostra unicitĆ , nel nostro disegno geometrico cosƬ perfetto, presto torneremo a vedere le cose dall’alto, vestendoci di un nuovo bianco in un processo di riflessione e, finalmente, capiremo il senso di ciĆ² che ĆØ stato.

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